di Luigi D’Alessio
Una preposizione stabilisce il pensiero,
e la psicologia.
Il 22 aprile del 1941 un grande poeta,
firmandosi Grillo,
chiude una lettera alla moglie con “Salutami a Sandro.”
In napoletano si dice Viene a cca.
Vieni a qui.
Non esiste il Vieni qui.
La sorpresa è in alcuni testi del ‘700.
Vi si legge, Viene ‘a cca.
Vieni da qui.
Viene a cca e Viene ‘a cca hanno identica pronuncia,
eppure nella lingua scritta rappresentano due opposizioni.
Ma l’ultima espressione denota del napoletano
la più intrinseca mentalità “disquisitrice”.
Piccolo fuori testo:
cca, etimologicamente dal lat. (ec)cu(m) hac; nell’idioma napoletano, così come il corrispettivo “qua” italiano, va scritto senza alcun segno diacritico.
Non va accentato perché da monosillabo non ingenera confusione con altri, come ad esempio col pronome o la congiunzione ca/che.
È altrettanto errore scrivere l’avverbio con l’apocope (cca’):
non c’è nessuna sillaba finale caduta, e bisognosa di segno.